Già in sede di valutazione delle domande di contributo per il corrente anno mi colpì la volontà della delegazione regionale dell’UNIONE NAZIONALE VETERANI DELLO SPORT di rendere pubblico attraverso un apposito sito web il lavoro di indagine fatto sugli atleti italiani ed europei che durante il secondo conflitto mondiale hanno subito persecuzioni ed ogni altra conseguenza della guerra, comprese la deportazione e la morte.
La notizia che giovedi 15 novembre si svolgerà presso gli Archivi Storici della Università Europea il convegno internazionale “Campioni nella Memoria – storie di atleti deportati nei campi di concentramento“, ha avuto una conseguenza immediata: quella di farmi prendere conoscenza del lavoro fatto dalla Toscana per recuperare le storie delle tante le atlete e gli atleti, ebrei e non, che avevano messo a segno record nazionali ed internazionali, ma dei quali, dopo qualche anno dagli eventi bellici non si è più trovata traccia.
La UNVS è, a quanto mi risulta, la prima in Italia ed una delle pochissime istituzioni in Europa ad aver creduto e lavorato ad un progetto volto a ricercare storie di atleti, non solo ebrei, che non essendosi voluti allineare alle ideologie naziste e fasciste hanno dovuto subire la deportazione nei campi di concentramento. Far conoscere a più persone possibili questo squarcio di storia, rendendo giustizia a chi è stato colpito da questa tragedia nella convinzione che questo sia il veicolo corretto per contribuire con testimonianze forti, al processo di crescita delle nuove generazioni.
Perciò l’idea di costruire e attivare un sito internet in collaborazione con l’U.S.S.I. (Unione Stampa Sportiva Italiana) che sia strumento, oltre di una più ampia visibilità, per recuperare materiale inedito e, perché no, di ampliare la ricerca a tutti gli atleti che hanno partecipato o subito tutti i conflitti del “secolo breve”, è certamente una idea da sostenere ed incoraggiare per più di un motivo in questo momento storico nel quale la memoria di fatti ancora recenti si va facendo sempre più indistinta nel grande rumore di fondo dell’informazione.
Lavorare con lo scopo di far conoscere a più persone possibili questo squarcio di storia, rendendo giustizia a chi è stato colpito da queste tragedie nella convinzione che questo sia il veicolo corretto per contribuire con testimonianze forti, al processo di crescita delle nuove generazioni.
Chi meglio dello sport, a nostro avviso, può avvicinare i giovani e meno giovani a capire il perché del sacrificio di queste donne e uomini, che proprio attraverso la pratica di una disciplina sportiva, volevano dimostrare, cioè libertà, uguaglianza e tolleranza nei confronti del mondo che li circondava?
Mi auspico che questa “buona pratica” divenga elemento importante nello sviluppo di una diversa cultura, sportiva e non, del nostro Paese, ancora così distante dalle tradizioni dei paesi più evoluti del nostro continente in tema di civiltà, costume di vita e pratica quotidiana dello sport e delle attività motorie.