Pabianice 1929 – vivente

Ben Helfgott è nato in Polonia a Pabianice vicino a Łódź. Con il padre Moshe, la mamma Sara e le due sorelle Mala e Lusia abitavano a Piotrkow, una cittadina sul confine polacco di circa 55.000 abitanti, dei quali circa 20.000 erano ebrei. Erano benestanti e vivevano in un grazioso appartamento accanto ad altri ventitré membri della famiglia, solo tre sono riusciti a sopravvivere alla guerra. Ben era un ragazzo brillante e, appassionato di sport, sfidava spesso i compagni nel salto in alto e nella corsa veloce. All’età di otto anni, attraverso un libro, conosce la storia di Janusz Kusocinski (vittima anche lui della Gestapo), atleta polacco che aveva gareggiato alle Olimpiadi di Los Angeles del 1932 e che aveva vinto i 10.000 metri. Kusocinski era stato un esempio per molti ragazzi, in modo particolare per quelli più in difficoltà. Li spronava all’atletica leggera insegnando loro a non abbattersi e a continuare a lottare con determinazione senza mai arrendersi. Questi valori sono stati fondamentali anche per il piccolo Ben. Con l’invasione tedesca della Polonia, la sua vita cambia radicalmente. Egli ricorda: “Ero in vacanza con la mamma e con le mie sorelle nel momento in cui tutto è iniziato. Cercavamo di tornare a casa quando fummo sorpresi dai bombardamenti, il viaggio di ritorno è stato un incubo…l’odore di carne umana bruciata non mi ha mai lasciato. È stato terribile”. La famiglia Helfgott ritorna a Piotrokow, ma il paese è già invaso dai tedeschi che da subito iniziano a perseguitare gli ebrei, fino ad arrivare a bruciare la sinagoga con tutti i libri sacri. Viene emanato un ordine con il quale tutti gli ebrei, entro l’11 novembre del 1939, devono essere rinchiusi nel ghetto che aveva una capienza di 5000 persone, ma che alla fine ne conterrà 28.000. Le condizioni di vita erano precarie, in alcune zone non c’erano l’energia elettrica, l’acqua, i servizi igienici e ciò favoriva le epidemie di tifo. Spesso i tedeschi prelevavano gli uomini per portarli a lavorare e non sempre quest’ultimi ritornavano. Nel 1942 i ghetti incominciavano a svuotarsi, si parlava di deportazioni, di uccisioni, di camere a gas: “…ma come potevamo crederci?”. Attraverso i contatti del padre, Ben viene impiegato in una fabbrica che lavorava il vetro. Un giorno, mentre lui e il padre erano al lavoro fuori dal ghetto, la loro famiglia viene distrutta: i tedeschi rastrellano 530 persone, tra cui la madre e la sorella Lusia che vengono prima rinchiuse e il 20 dicembre fucilate nella foresta intorno a Piotrokov. Nel mese di luglio del 1943 il ghetto viene sgombrato, Ben e suo padre sono deportati a Buchenwald, mentre la sorella, Mala, sarà rinchiusa a Ravensbruck. Da Buchenwald padre e figlio dovevano essere deportati a Schlieben, dove si producevano mine anticarro, ma a questo punto le loro strade si dividono. Ben con il n. 94.790 viene chiamato e parte, il padre con il numero 94.830 non era nella lista del nuovo trasporto e rimane a Buchenwald (morirà all’età di 38 anni nella marcia della morte). A Schlieben, Ben come milioni di altri ebrei, affronta la battaglia quotidiana per rimanere in vita, sfidando la fame, la stanchezza e le scarse condizioni igieniche. Quando i tedeschi incominciano a rendersi conto delle sorti avverse della guerra, viene trasferito nel campo di Theresienstadt e liberato il 9 maggio del 1945. Dopo aver ritrovato la sorella Mala, Ben si trasferisce in Inghilterra, continua gli studi e si avvicina all’atletica pesante, in particolare al sollevamento pesi. Diventa campione nazionale, partecipa alle Maccabiadi nel 1949 e ai Giochi del Commonwealth conquistando la medaglia di bronzo. È il capitano della squadra olimpica di sollevamento pesi che partecipa ai Giochi Olimpici del 1956 a Melbourne e del 1960 a Roma. Ben Helfgott è stato uno dei pochi ebrei a partecipare alle Olimpiadi dopo essere sopravvissuto alla Shoah. Laureatosi in economia Ben Helfgott si sposa, ha tre figli e nove nipoti, diventa un uomo d’affari senza dimenticare però il suo passato. Fonda in Gran Bretagna la “Aid Society for Holocaust Survivors”, è Presidente dello “Yad Vashem Committee of Board of Deputies of British Jews” e del “Central British Fund-World Jewish Relief”, è membro del “Council of the Conference on Jewish Material Claims Against Germany”. Parlando della sua triste esperienza non usa mai espressioni di odio. Egli dice che: “… l’odio è corrosivo. Distrugge una persona. Ho sempre voluto una vita piena di armonia”. Di una cosa però è certo: “… quello che è successo non deve più accadere, la Shoah non va dimenticata”.