Varsavia 1917 – Bielsko-Biala 1991
Tadeusz “Teddy” Pietrzykowski nasce a Varsavia l’8 aprile 1917, si iscrive alle scuole superiori e inizia a giocare a calcio nel WKS-ie Warszawianka. Lascia l’attività calcistica per dedicarsi alla boxe, sotto la guida del famoso allenatore polacco Felix Stamm, il cui motto era: “Per essere bravi bisogna allenarsi, lottare e saper soffrire”. Nel 1938 conquista il titolo nazionale dei pesi gallo e la rivista “Sport News” lo incorona come il miglior pugile polacco della categoria. Dopo la resa della Polonia, nel 1940, Teddy cerca di raggiungere la Francia dove si sta ricostituendo il nuovo esercito polacco, ma sul confine ungherese-jugoslavo viene arrestato dai tedeschi e riportato in patria. È rinchiuso nelle carceri di Muszyna, Nowy Sacz e Tarnow da dove il 14 giugno del ’40 è deportato con il primo trasporto di prigionieri per Auschwitz. Là verrà registrato con il n° 77 e vivrà nella baracca n° 24, nella quale ora si trova l’archivio del Dipartimento di Documentazione. L’incredibile storia di Teddy inizia alla fine del marzo del 1941 quando nel campo arriva il kapò Walter Dunning, un pugile professionista reduce da diverse vittorie contro altri detenuti. Egli cercava altri prigionieri per combattere in occasioni degli incontri che venivano organizzati nel campo per il divertimento delle SS. “Chi tira di boxe con Walter riceverà del pane” è l’allettante invito e Teddy accetta la sfida, sale sul “ring”, un quadrilatero formato dai prigionieri del campo in un angolo della cucina. Walter Dunning si presenta con una massa muscolare ben in evidenza (pesa 70 chili contro i 42 di Teddy), non c’erano guantoni e le mani erano ricoperte con delle pezze, come ricorda nella sua biografia Pietrzykowski: “…io avevo una sola idea fissa: combattere per il pane, avevo fame. Dunning era forte, mi colpiva, ma nella mente, come un fulmine, ritorna l’immagine del mio coach e le sue parole: devi lottare per vincere.” L’incontro continua colpo su colpo, senza tregua, ma alla fine Dunning va ko. Le SS hanno trovato il modo per divertirsi e per migliorare le performance del pugile polacco, gli confezionano appositamente dei guantoni da boxe. Il comandante del Kommando della cucina, spettatore entusiasta, dopo ogni match ricompensa Teddy con una ciotola di minestra. Gli incontri si disputano ogni domenica pomeriggio, prima nella baracca del Block 2, poi in un ring di fortuna, fino ad arrivare ad un ring professionale con le corde e con i giudici. Ben presto Teddy diventa l’eroe dei prigionieri polacchi ad Auschwitz, per loro è qualcosa di più di un pugile vincente, rappresenta la speranza di un destino migliore. Nell’estate del 1942 Teddy subisce la prima sconfitta, ad opera del campione olandese dei welter Leu Sanders (la moglie e il figlio sono morti nelle camere a gas a Birkernau) ma tre settimane dopo, nella rivincita, viene messo al tappeto per ko. Nei tre anni di permanenza ad Auschwitz Teddy ha sostenuto più di quaranta incontri. Nel museo del Campo ci sono alcune lettere che Teddy ha mandato alla madre, nelle quali il pugile polacco racconta che distribuiva fra i suoi compagni il pane e la margarina che riceveva dopo ogni incontro. Quando nella primavera del 1943 viene trasferito a Neugamme, il comandante del Kommando addetto alla cucina gli permette di portare con sé anche i guantoni da boxe. Si è scoperto che Teddy ha sostenuto alcuni incontri anche in questo campo, battendo il prigioniero tedesco Hottenbach Schally (peso massimo) chiamato “Hammerschlag” perché i suoi pugni erano come colpi di martello. Per il tedesco, che aveva battuto tanti detenuti, è stato l’ultimo incontro di pugilato perché in seguito viene ucciso dalle SS del campo. Dopo la liberazione, Teddy si unisce alla prima divisione corazzata del generale Maczek, per il quale organizza le attività sportive dei soldati. Ritorna a vivere in Polonia a Bielsko-Biala e per problemi di salute si ritira dalla boxe, ma l’esperienza dei campi di concentramento condizionerà per sempre la sua esistenza. Testimonia al processo contro Rudolf Höss e nella sua casa raccoglie foto, vecchi articoli di giornale che si riferiscono alla sua carriera sportiva e alla sua triste vicenda, mantenendo nel tempo contatti con il Museo di Auschwitz. Egli aveva anche un talento artistico che gli ha permesso di rappresentare graficamente impressionanti disegni e immagini sulla vita nei lager. Fra questi troviamo alcuni disegni e articoli dedicati a Padre Massimiliano Kolbe che ha incontrato in quella triste esperienza.